[di Emanuele Azzità, il medesimo articolo è stato pubblicato su Ha Keillah (“La comunità”), rivista bimestrale ebraica torinese, organo del Gruppo di Studi Ebraici]
LA SPIA HA I CAPELLI ROSSI
Cos’è un inganno? Dicono gli esperti che le guerre sono state promotrici di progresso, ma di sicuro sono figlie dell’inganno.Nel suo libro la scrittrice italo-palestinese Sarah Mustafa fornisce, in versione romanzesca, uno spaccato quotidiano dell’ormai quasi secolare confitto mediorientale.
L’autrice, nata a Pavia nel 1979, laureata nel 2006 in Scienze Politiche con indirizzo internazionale, si occupa di progetti e di risorse umane in una grande ditta di import-export della provincia lombarda.
Ha trascorso l’infanzia e l’adolescenza in un campo di profughi palestinesi in Giordania con la famiglia del padre, anche lui laureato a Pavia in medicina.
Là ha conosciuto la realtà di cui narra nella storia.
Leyla, universitaria pavese, sceglie di fare il suo stage in Giordania dove ha trascorso una parte importante della sua infanzia.
La sua opzione non è animata da velleità nostalgiche o culturali, ma da una strana “urgenza” di chiarire i sospetti che potrebbero gravare sulla nonna paterna circa la morte di una ragazza avvenuta quasi sessant’anni prima.
Il problema le è stato posto da Munir, uno studente palestinese suo parente lontano, assai insistente, sulla questione.
Leyla rende partecipe del suo proposito anche il sincero amico israeliano Gabi, il “porco sionista” come lo definisce Munir.
Attenzione, però, questa non è la storia sdolcinata della relazione tra due ragazzi separati dal muro di un conflitto. Fra i due c’è un’amicizia, forte e sincera, che porterà Gabi ad affrontare un sacrificio personale fortunatamente superato.
Nella sua architettura narrativa Sarah Mustafa alterna i capitoli, per ricostruire un percorso temporale nel quale si sviluppano gli eventi. Tutta la vicenda ha le donne come protagoniste assolute.
Gli uomini sono solo un corollario la cui incerta affidabilità costituisce il nodo di tutto lo sviluppo della storia.
Leyla era una bambina felice che andava a scuola e giocava con le bambole. Un giorno suo padre andò a parlare con la preside, un fatto inedito, visto che la moglie lo rimproverava sempre di disinteressarsi della figlia.
Un padre come tanti, preso dal lavoro! Quel giorno, comunque, il papà la portò a casa prima; due valige attendevano all’entrata. La madre non c’era: un po’ di Nutella sul pane e via! Linate, Atene, Amman, fino al campo profughi dove viveva la nonna.
Lì il padre si dileguò e la piccola Leyla fu istruita dalla amorevole nonna a vivere da profuga palestinese.
La mamma la andrà a trovare, ma dovranno passare anni prima che la ragazza possa ritornare nella sua casa natale.
Nei campi profughi le donne, i bambini e gli anziani combattono ogni giorno le loro battaglie quotidiane.
La guerra è il freddo da vincere, la pioggia, le lamiere bucate.
Anche andare ai servizi in uno sgangherato stanzino puzzolente di lamiera, senza acqua corrente, è una battaglia quotidiana!
La storia, invece, quella dei conflitti, dei fucili e dei signori della guerra sembra lontana. Il male è sostituito dalla fatica. Sarah Mustafa riesce a descrivere la vita nel campo con un chiaro reportage.
Poi ritroviamo Leyla studentessa a Pavia che intende ritornare in Giordania come stagista in una struttura UNRWA del campo profughi che lei ben conosceva.
La scelta era stata fatta anche con un altro obiettivo: quello di far luce su una strana storia che le aveva raccontato Munir.
La ricerca la porterà in Egitto e poi in Sudan. Un’operazione molto pericolosa che costerà al suo fedele amico ebreo Gabi, i cui nonni erano sopravvissuti a Mauthausen, il sequestro da parte di una banda di delinquenti che lo vorrebbero vendere ad Al Qaeda.
La nonna ormai defunta, presunta spia con i capelli rossi, risulterà scagionata e anche Gabi sarà salvo, anche se malconcio.
E l’inganno? È un sostantivo maschile! Gli alberi più alti crescono più forti sul sasso che sulla sabbia.
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