[di Anna Roberto]
Ripercorriamo attraverso le inchieste della giornalista Stefania Maurizi la storia di Assange e WikiLeaks
«Tre cose non possono essere nascoste a lungo: la Luna, il Sole e la Verità.» – Siddarta
La vicenda di WikiLeaks dovrebbe essere sotto i riflettori dei media di tutto il mondo, dovrebbe essere sorretta da una grande mobilitazione popolare ed essere oggetto di analisi nelle scuole, perché questa organizzazione, senza fini di lucro, ha svelato reati e crimini contro l’umanità mettendosi contro Poteri forti, oscuri e granitici.
C’è una giornalista italiana, Stefania Maurizi, che sin dal 2009 ha lavorato con Julian Assange e WikiLeaks al rilascio di tutti i documenti segreti, dai file War Diaries sulla guerra in Afghanistan e Iraq, al Cablegate della diplomazia Usa, dalle schede segrete dei detenuti di Guantanamo, alle rivelazioni sulla missione europea in Libia contro i trafficanti di migranti fino ai file di Edward Snowden. Ha citato in giudizio quattro governi -Stati Uniti, Inghilterra, Svezia e Australia – per il diritto di accedere attraverso la Freedom of Information Act a tutti i documenti del caso Julian Assange e WikiLeaks.E proprio attraverso i suoi racconti, le interviste rilasciate e soprattutto attraverso il suo libro-inchiesta “Il potere segreto: Perché vogliono distruggere Julian Assange e WikiLeaks” (edito da Chiarelettere) ripercorriamo la storia di Assange e di WikiLeaks. Scritto nel 2021 è il frutto di un’indagine durata 13 anni ed è un testo fondamentale per comprenderne la vicenda. Ogni passaggio del libro è supportato da un rigore matematico a cui solo chi ha studiato in maniera approfondita tutti i documenti (tutti!) può aspirare; dalla prefazione del regista e attivista britannico Ken Loach leggiamo
“Se riteniamo di vivere in una democrazia dovremmo leggere questo libro. Se ci sta a cuore la verità e una politica onesta dovremmo leggere questo libro. Se crediamo che la legge debba proteggere gli innocenti, infine, dovremmo non solo leggere questo libro, ma anche pretendere che Julian Assange sia un uomo libero”.
Per poter comprendere quanto la guerra dichiarata a Julian Assange, fondatore ed editore di WikiLeaks, leda il diritto di ognuno di noi ad essere informati e il diritto della libertà di stampa ed espressione, dobbiamo partire da alcune definizioni:
Che cos’è un “Segreto di Stato”?
Il segreto di Stato è un vincolo posto su documenti, notizie, attività al fine di tutelare la sicurezza nazionale e la cui divulgazione non autorizzata può danneggiare gravemente gli interessi fondamentali e supremi dello Stato stesso.
E a che cosa serve la “Sicurezza Nazionale di uno Stato”?
Serve a tutelare l’integrità del territorio di uno Stato, la sicurezza della sua popolazione e a conservare i valori di base delle sue istituzioni civili.
In tali dichiarazioni non c’è nemmeno una parola, nemmeno un riferimento sull’esplicita volontà giuridica da parte degli Stati di mantenere sotto segreto crimini di guerra, delitti contro l’umanità, assassini e torture.
Eppure la Westminster Magistrates’Court di Londra ha emesso l’ordine formale di estradizione negli Usa per Julian Assange dove è accusato di spionaggio e rischia una condanna fino a 175 anni di carcere senza speranza di giustizia giuridica e senza che alcuno Stato al mondo si schieri in sua difesa e per la sua libertà.
Un uomo che dopo aver trascorso due anni agli arresti domiciliari e sette anni all’interno dell’ambasciata dell’Ecuador a Londra senza mai respirare l’aria, oggi è detenuto nel carcere di massima sicurezza Belmarsh Prison di Londra in attesa della troppo probabile estradizione e versa in uno stato fisico e psicologico sempre più precario.
Isolato, calunniato, spiato, perseguitato.
Un uomo senza diritti, la cui vita è appesa ad un filo, il cui unico immenso “crimine” è stato quello di cercare la verità su guerre infinite, equipaggiamenti militari, detenzioni di prigionieri, stupri, torture, esecuzioni extragiudiziarie, compravendita di armi, operazioni informatiche fuorilegge, enormi evasioni fiscali, riciclaggio di denaro, corruzioni, spionaggio, sorveglianze globali e molto altro. Questo basterebbe a far accapponare la pelle.
Ma la rivoluzione di Julian Assange non si limita al tentativo di perseguimento della verità attraverso l’analisi dei fatti; no, Julian Assange e i giornalisti appartenenti all’organizzazione di WikiLeaks ne producono le PROVE.
E’ questa la grande differenza sottolineata dalla Maurizi!
Ed ecco allora che, se Pasolini dichiarava “Io so, ma non ho le prove” (e già per questo ne pagò care le conseguenze), Assange va ad aprire armadi dentro i quali si trovano milioni e milioni di scheletri e di documenti a copertura di crimini e illeciti che con l’originaria definizione di “Segreto di Stato” non hanno molto a che fare.Gli attori dei materiali censurati che WikiLeaks ha pubblicato e continua a pubblicare, non sono i piccoli criminali, sono la CIA -Central Intelligence Agency-, il Pentagono, la NSA -National Security Agency-, i palazzi della finanza, i vari Stati del mondo, gli eserciti.
Ma come fa WikiLeaks ad avere in mano le prove, i documenti secretati?
Proteggendo sia l’anonimato delle fonti che rilasciano i documenti, sia i documenti stessi dalla lettura in chiaro (che avviene solo a destinazione), attraverso un meccanismo di crittografia.
Le fonti sono “whistleblower“, ossia segnalatori di attività illecite o fraudolente, di reati o irregolarità, persone estremamente coraggiose che, occupando posizioni strategiche, possono avere accesso a documenti top-secret e agendo in nome della trasparenza fanno giungere all’organizzazione il materiale, il quale passa al vaglio di una rigorosa verifica della sua autenticità.
Tra tutti ricordiamo Chelsea Manning, ex militare statunitense, analista della intelligence che durante la guerra in Iraq trafuga e consegna a WikiLeaks decine di migliaia di documenti segreti. E’ grazie al suo coraggio che il mondo ha potuto visionare il video Collateral murder che documenta l’attacco aereo del 12 luglio 2007 a Baghdad di due elicotteri Apache statunitensi e l’esecuzione di 18 civili disarmati, tra cui il reporter della Reuters Namir Noor-Eldeen. Chelsea Manning verrà arrestata perché denunciata alle autorità militari nel maggio 2010 dall’hacker Adrian Lamo (a cui aveva ingenuamente svelato il fatto). Viene condannata a 35 anni di carcere per spionaggio nonostante l’esistenza di leggi federali e statali che proteggono i lavoratori dipendenti che denunciano comportamenti illegali. Dopo sette anni e quattro mesi di prigione, nel 2017 il Presedente uscente Barack Obama le concede la grazia, ma l’8 marzo 2019 torna in carcere per aver rifiutato di testimoniare contro WikiLeaks, uscendo nuovamente di prigione il 12 marzo 2020.
Con le sue azioni WikiLeaks ha rivoluzionato il giornalismo d’inchiesta contemporaneo. Non sono un caso le successive impressionanti rivelazioni denominate Datagate di Edward Snowden (2013) e quelle della Panama Papers (2016).
Il whistleblower Edward Snowden, ex tecnico della CIA, lavora fino al 2013 per la Booz Allen, colosso delle consulenze high tech, il cui unico cliente è il governo americano, per l’esattezza la NSA -National Security Agency-, la più potente e tecnologica agenzia d’intelligence al mondo. Nel giugno del 2013 incontra all’Hotel Mira di Hong Kong, Glenn Greenwald e Laura Poitras, giornalisti del quotidiano britannico The Guardian, e rivela loro migliaia di documenti segreti proprio della NSA, sui programmi top-secret di sorveglianza di massa del governo statunitense e britannico, un immenso meccanismo di controllo costruito in segreto. E’ l’inizio delle inchieste giornalistiche denominate Datagate. Quattro giorni dopo la pubblicazione, Edward Snowden si assume pubblicamente la responsabilità personale della fuga di notizie, attraverso un video di 12 minuti visto da milioni di persone. Snowden lascia l’Hotel, è abbandonato dalle testate giornalistiche e ricercato da tutto il mondo, scompare e chiede aiuto a WikiLeaks che gli darà appoggio e protezione per farlo fuggire e non farlo incarcerare. Snowden dichiarerà: «Tutti i media del mondo volevano mettere le mani sulla storia. Una sola organizzazione giornalistica aveva detto: vogliamo aiutare la fonte, e quell’organizzazione era WikiLeaks». Nel 2019 pubblica la sua autobiografia, intitolata Permanent Record (in italiano Errore di sistema).
La Panama Papers, invece, è la più grande fuga di notizie nella storia della finanza, che nel 2016 ha fatto tremare i grandi ricchi della terra svelando i segreti di 38 anni di illeciti (dal 1977 al 2015) delle società offshore usate per nascondere i loro asset. Oltre 11,5 milioni (l’equivalente di 2,6 terabyte) di documenti segreti analizzati per un anno da 307 giornalisti di 76 paesi diversi che coinvolgono 152 persone tra politici, re, presidenti, primi ministri, imprenditori, personaggi famosi e sportivi, 214.000 società offshore, 33 delle quali hanno legami con il terrorismo. Infine 14.000 clienti dello studio legale di Panama Mossack Fonseca che ha uffici in 42 paesi in tutto il mondo. Una straordinaria ecatombe!
WikiLeaks ha dettato la strada…
Perché nessuno Stato tutela Assange?
Proprio perché tutti gli Stati, nessuno escluso, hanno pesanti segreti da salvaguardare e perché abitiamo un mondo in cui gli assassini e i torturatori sono protetti e impuniti da chi dovrebbe invece incriminarli e al contrario, chi denuncia e ne prova i reati viene incarcerato, torturato, indotto al suicidio.
Una vecchia storia? Certo! Per questo bisognerebbe non accettarla, perché regge e custodisce un mondo indescrivibilmente assurdo, un mondo al rovescio che dovrebbe, invece, generare rabbia, nausea, vergogna, repulsione. Durante l’ultima manifestazione per la liberazione di Assange, Stefania Maurizi afferma “Gli Usa vogliono vendicarsi e mandare un messaggio a chi svela i loro segreti”.
C’era un ragazzino piegato sulla tastiera di un computer; aveva già un’immensa passione che lo portava a voler comprendere i meccanismi della rete.
Era un ragazzino curioso, esigente, geniale. Un visionario. Ancora non sapeva che avrebbe stravolto il modo di poter fare informazione proprio utilizzando le risorse della rete e violando ciò che indecentemente passa sotto il nome di “Segreto di Stato”.
I suoi fini non erano né il guadagno né il potere (che la sua mente gli avrebbe consentito di perseguire senza troppi problemi), il suo fine, al contrario, era ed è ancora oggi, quello di combattere il potere, il potere segreto e oscuro, quello che manovra dietro le quinte, che sta al di sopra delle leggi, il potere che non si mostra, sicuramente non quello delle passerelle serali nei talk show televisivi o dei social.
Gli Stati Uniti sono lì, come avvoltoi ad attendere l’estradizione di Assange per processarlo su 17 capi d’accusa che fanno leva sull‘Espionage Act, una legge del 1917 promulgata durante la prima guerra mondiale che ritiene colpevole chi fornisce informazioni al nemico.
Ma Assange non è un traditore, è un giornalista che ha pubblicato documenti di interesse pubblico. E il mestiere del giornalista (un vero giornalista) è quello di narrare fatti documentandoli in maniera obiettiva, è quello di analizzare le informazioni attraverso inchieste approfondite. Per questo un vero giornalista dà fastidio. A molti, a troppi, media compresi.
In un articolo su La Repubblica del 23 maggio 2019 Stefania Maurizi scrive
“La scelta di incriminare Julian Assange ai sensi dell’Espionage Act farà molto discutere, perché di fatto con essa si equipara il giornalismo a un atto di spionaggio. L’Espionage Act non consente alcuna difesa ai giornalisti e ai giornali: non possono proteggersi in tribunale dalle accuse dicendo che i documenti segreti pubblicati hanno permesso di rivelare crimini di guerra o contro l’umanità, stupri, torture nel pubblico interesse, perché l’Espionage Act non riconosce questo pubblico interesse. E’ per questa ragione che l’applicazione ai giornalisti è estremamente controversa e di fatto è la prima volta nella storia degli Stati Uniti che viene usato contro un giornalista”.
C’è in gioco il capitolo della libertà di stampa, di informazione e di espressione che espone il giornalismo ad un assalto terribilmente rischioso.
Assange potrebbe subire una condanna fino a 175 anni di detenzione, perché assieme ai suoi giornalisti, anch’essi in pericolo, hanno aperto una voragine che passerà alla storia.Da un’intervista al settimanale tedesco Der Spiegel:
Assange: “Questa grande biblioteca costruita col coraggio e col sudore di molti, per cinque anni ha combattuto con una superpotenza senza perdere un solo “documento”. Allo stesso tempo, questi “documenti” hanno istruito molte persone, e in alcuni casi, in senso letterale, hanno permesso la liberazione di innocenti”.
Spiegel: “Che non è una brutta conclusione. Soprattutto dato che si è scelto di andare contro i nemici più potenti disponibili sulla Terra. O c’è qualcosa di più potente del governo degli Stati Uniti e del suo esercito e dei suoi servizi segreti?”
Assange: “La fisica. E la matematica”.
Se lasciamo morire Julian Assange, se tutti noi lasciamo morire Julian Assange, e Julian Assange sta morendo, allora muore l’idea stessa di democrazia, muore l’idea di giustizia e di verità giuridica.
La verità vera, quella dei video e dei documenti, rimane.
Assange ha avuto coraggio e forse non pensava che non avrebbe trovato appoggio nemmeno tra i suoi stessi colleghi, i giornalisti. Solo pochi si sono schierati a sua difesa.
In un mondo in cui l’informazione mainstream è controllata e il livello culturale della gran parte dei giornalisti non è accettabile, una figura come quella di Assange avrebbe dovuto far urlare l’opinione pubblica per gli orrori portati finalmente a galla .
Ma il sopore delle menti è raggiunto e questi ultimi due anni hanno dato il colpo di grazia.
Ad maiora.