[Recensione di Ernesto Miramondi]
E’ incredibile rilevare come un’opera scritta ben centocinquant’anni fa possa ancora rappresentare l’attuale in tutta la sua spaventosa cruda realtà. E bene fa l’autrice della recensione a darle un titolo da cronaca. Come se fosse avvenuto ieri, senza soluzione di continuità tra passato e presente. Una lunga scia dalle molteplici facce ma con una sola motivazione. La negazione all’autodeterminazione.
Questa recensione è relativa alla Carmen di Bizet della regista Chiara Villa. Intervistata così l’aveva descritta: “Con questa Carmen dalla teatralità predominante, ci chiederemo se la sua vicenda non è purtroppo familiare nell’Italia di oggi.”
GIOVANE DONNA UCCISA PER GELOSIA DA UN UFFICIALE DELL’ESERCITO
[Recensione di Maria Elena Gori]
E’ «Carmen la gitana» del 38° Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano
“Carissimi,
ecco il pezzettino per il Teatro di Enfleurence, da collegare al sempre purtroppo attuale tema del femminicidio. Come se tra il 1873, anno in cui è stata scritta l’opera da Bizet, e i giorni nostri, l’atteggiamento di certi uomini orgogliosi al punto da non poter tollerare un rifiuto da parte della donna da cui si sentono attratti e sedotti, non fosse affatto cambiato.
Mentre la protagonista, la gitana passionale e provocante Carmen, dall’indole ribelle ed indipendente, che vorrebbe essere libera di scegliere chi amare e chi respingere, sembra anticipare l’atteggiamento delle donne a noi più vicine e contemporanee, che malgrado le tante conquiste ottenute con sofferenza e fatica, sono ancora costrette a subire la sopraffazione del maschio.
Un saluto a presto”
[Maria Elena Gori]
Rosso e nero i colori simbolo di amore e morte. Rosso il drappo sul portone scuro. Rossa la bara. Rossi i riccioli morbidi ricadenti sulle spalle e l’abito di Carmen. Ma nero è il muro che fa da fondale. Neri i pochi arredi di scena. Neri il mantello e il costume del torero Escamillo, scuri i giubbetti dei comprimari. Neri i capelli raccolti in chignon della rivale di Carmen, Micaëla; tutto, fin dalla prima ed unica scena fissa, preannuncia il tragico epilogo: « Jamais Carmen ne cèdera! Libre elle est née et libre elle mourra; l’amour est enfant de Bohême, il n’a jamais connu de loi » (Carmen non cederà mai, libera è nata e libera morirà», perché «l’amore è figlio di zingari e non ha mai conosciuto la legge»).
La regista Chiara Villa squarcia fin dall’inizio la quarta parete: la scenografia invade la platea con i vicoli e le stradine polverose della città spagnola; un narratore (l’attore Francesco Gil) entra in scena attraversando la sala del Teatro Poliziano illuminata da una luce fredda, quasi lunare ed invita il pubblico ad assistere alla vicenda di Carmen (il mezzosoprano Lilia Tripodi) mentre Micaëla (il soprano Anaïs Mahikian) è alla ricerca del fidanzato Don Josè (il tenore Sunggoo Lee) prima sulla piazza- palcoscenico, poi in platea, chiedendo insistentemente al pubblico: «Dov’è José? L’avete visto?» ma nessuno la sa aiutare. Lo incontrerà una volta risalita sul palco e duetterà con lui il “Parle moi de ma mere”. In controscena è invece un gruppetto vivace di giovani sfaccendati che interroga le carte e già si intuisce, negli sguardi e nei gesti, con quale malizia la zingara Carmen anticipi la contesa d’amore.
Carmen di Bizet nasce come opera comica in 4 atti su libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy dalla novella omonima di Prosper Mérimée; va in scena per la prima volta all’Opéra-Comique di Parigi nel 1875 e, come spesso accade ad alcuni capolavori, inizialmente resta incompresa e lo stesso Bizet muore ignaro del clamoroso successo che l’opera avrà in seguito. Carmen ha avuto infatti numerose versioni sia in teatro sia, a partire dal 1915, nel cinema. Ne sono esempi il musical Carmen Jones (Usa 1954 di Otto Preminger, con il cantante Harry Belafonte), il film balletto Carmen on ice (Germania 1990 di Horant H. Hohlfeld) e, nel 1981 La tragédie de Carmen in scena al Bouffes du nord con la regia di Peter Brook.
Questa nuova Carmen arrangiata da Pierre Thilloy per l’Ensemble Zigano “Lillas Pastia” e diretta da Vincent Monteil – presentata in prima assoluta al 38° Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano – prende poi il via, in forma ridotta rispetto alle più tradizionali versioni per orchestra, senza il coro e nell’Habanera si palesa, in tutta la sua carica erotica, la fresca e frizzante sensualità di Carmen che, con le movenze provocanti di giovane e irrequieta gitana, gioca a schizzare gli altri mentre si bagna i piedi con l’acqua della fontana.
Carmen seduce poi il brigadiere Don Josè e lo convince a liberarla dopo essere stata fermata da una guardia durante una zuffa che l’ha vista protagonista: ancora una volta emerge l’indole focosa della donna che ne ha appena ferita un’altra al volto.
Quindi l’Entre acte strumentale, con un motivo che raccorda la scena della piazza di Siviglia con quella della taverna, dove si sposta l’azione.
Sul tema originale de Les Triangles, Carmen porta il sacco con la merce di contrabbando che le amiche rivenderanno in osteria; come di contrabbando è l’amore di Carmen, ignaro delle leggi morali e sciolto da qualsiasi vincolo; ed è per questo che José nel Le fleur che tu m’avais jetè rimpiange l’amore ricevuto ed ormai sfiorito.
Carmen balla la Seguidilla nell’osteria ed i due amanti che la desiderano se la contendono in duello, quando Don Josè percepisce che la bella gitana non lo ama più, ma palpita per Escamillo (il basso- baritono Sévag Tachdjian). Il veloce precipitare degli eventi va verso il finale: Carmen, volta le spalle al pubblico, guarda la bara illuminata di rosso e si trova faccia a faccia con la morte – rappresentata anche dallo scheletro disegnato sulle sue carte divinatorie e ripreso, capovolto, nella metà inferiore della locandina con la donna di picche.E le carte e la morte tornano sulle note del Terzetto cantato da Carmen. Quindi l’epilogo in cui don José, che non potrà convincere Carmen a tornare con lui, la accoltella, la adagia delicatamente davanti alla bara e lascia cadere sul suo corpo il fiore che lei gli aveva lanciato. Nell’avvicendarsi dei personaggi sulla scena, José è l’unico che non scende mai dal palco, irrigidito nella durezza dei gesti, cadenzati come quelli del teatro tradizionale giapponese.
Con la sua voce potente, ma poco sfumata ed il volto sempre uguale sia nei momenti di tenerezza che di collera, egli si ritrova solo ed emarginato nell’atto estremo, attualizzato dalla regista come un femminicidio. Don José è quindi contrapposto agli altri interpreti che interagiscono con il pubblico in sala, dando l’impressione di una collettività consapevole dalla ferocia dell’assassino, da cui prendere le distanze.
«Il segreto della Carmen – ha scritto un giorno Alberto Savinio – è forse in questo suo essere così vicina a noi e assieme tanto lontana, così sincera e schietta e assieme così obliqua e densa di fato».
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