Giornata speciale quella sulle disabilità tenuta a Cologno Monzese, l’11 maggio scorso,capace di arricchire sia sul piano della conoscenza che della chiarezza.
Tema centrale: Le disabilità.
L’intento degli organizzatori era di attrezzare un luogo per una discussione tra esseri umani sui temi della disabilità. Solo umanità, senza implicazioni o distinzioni di sorta.
Aprire una tavola rotonda per ricevere e dare risposte senza ipocrisie, attraverso un conversare a più livelli, sentendo le esperienze del vissuto delle persone con disabilità in primis ma anche riportando l’operato e il lavoro di operatori, educatori, ricercatori, psicologi, associazioni e di tutta quella vasta umanità che, partecipe, lavora da anni sui temi della disabilità.
L’analisi che ne è emersa, attraversando un arco temporale di almeno tre decenni di storia e di costume, dimostra una indubbia evoluzione che ha sicuramente e nettamente migliorato il vivere quotidiano delle persone con disabilità, anche nelle forme più gravi.
Ma ovviamente ciò non basta. Il processo evolutivo deve sempre più coincidere con l’inclusività. Ovvero un approccio al vivere comune espresso sempre con pari dignità.
Per fare questo non basta costruire luoghi idilliaci dove far vivere serenamente gli esseri umani. E non basta neppure abbattere le barriere architettoniche o migliorare sempre più gli ausili tecnici. Certo tutto ciò è molto importante e sicuramente l’efficienza degli strumenti a disposizione va costantemente migliorata e ben distribuita. Ma ancor più importante è migliorare il contesto, lavorare tutti assieme per una società diversa dove tutti possano essere partecipi dei processi sociali e produttivi, ognuno con le proprie possibilità e qualità.
Lavorare attorno all’idea di una mentalità figlia di un linguaggio meno stereotipato. Senza ipocrisie o pietismi dannosi che sappia con “naturalezza”, senza forzature, fornire strumenti di vario ordine, volti a favorire l’inclusione. Per il diritto inalienabile alla dignità che ogni individuo possiede ma anche perché, in un ambito davvero inclusivo, tutti possono dare, secondo le proprie capacità, un contributo che spesso non è affatto di risulta.
Una società che sappia accogliere nel proprio tessuto sociale non come cosa forzata “perché si deve” ma perché è “naturale che sia così”.
Che sappia produrre coscienza e quindi maggiore sicurezza nel futuro. Si pensi a genitori o parenti sempre più vecchi e stanchi in preda alla paura per non sapere cosa accadrà dei loro cari con disabilità quando loro non ci saranno più. Ma anche a chi nel corso della propria vita si trova a dover vedere il proprio corpo mutare nell’aspetto e nelle prestazioni. Per una malattia, un incidente o quant’altro. Mi viene in mente l’Alzheimer, ma non solo. Allora, in un contesto diverso, al dolore e alla paura del sentire il proprio corpo o la mente mutare non verrebbe a sovrapporsi la paura del non essere accettato. La dolore di sentirsi classificati come persone appartenente a qualcosa di indesiderato, incompleto e meno bello, di serie B, meno performante o altro ancora …..
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