IL CONFLITTO POLITICO-MILITARE TRA ISRAELIANI E PALESTINESI

Bombe e distruzione su Gaza City

    [Gaza-City tratto da Flickr Autore Joe Catron su licenza CC BY-NC 2.0]

7 ottobre 2023. Hamas sferra un terribile e inaspettato attacco senza precedenti a Israele.

La repressione di Israele promette l’annientamento delle forze di Hamas.

La maggior parte della stampa occidentale si schiera con Israele.

Quanto accaduto il 7 di ottobre è sicuramente un’orribile follia. Ma com’è stato possibile arrivare a tutto questo? Quali le cause? 

Si rende necessario ripercorrere alcuni passaggi storici per fare chiarezza sulla “questione palestinese”.

Il 2 novembre 1917 con la “dichiarazione Balfour” la Gran Bretagna si impegna a creare uno stato ebraico in Palestina e promette agli Arabi del Medio oriente l’indipendenza.

Tra il 1918 e il 1945 la Gran Bretagna assume il mandato per l’amministrazione della Palestina e non mantiene gli impegni della dichiarazione Balfour sull’indipendenza araba, favorendo, nel contempo, l’immigrazione degli Ebrei in Palestina promossa dal Movimento Sionista (movimento politico e ideologico volto alla creazione di uno Stato ebraico in Palestina).

Tra il 1945 e il 1948 i sionisti scacciano con la forza la popolazione palestinese e occupano illegalmente le loro terre.  

La risoluzione ONU n.181 del 29 novembre 1947 sancisce la spartizione della Palestina in 2 Stati: il 56,47 % del territorio agli ebrei e il 43,53 % del territorio agli arabi;

Pietre di Gerusalemme della memoria

[Pietre di Gerusalemme della memoria, autore ATS Pro Terra Sancta Licenza CC BY-SA 3.0]

Gerusalemme sarebbe rimasta sotto il controllo dell’ONU.

La risoluzione non viene accettata da entrambe le parti.  

Al momento della spartizione i sionisti occupano già il 75 % del territorio della Palestina sottratto illegalmente.

Il 15 maggio 1948 termina il mandato Inglese, l’Egitto occupa Gaza (ne sarà responsabile fino alla guerra dei 6 giorni del 1967) e durante la notte viene proclamato lo Stato di Israele appoggiato dagli USA e non riconosciuto dai Palestinesi.

Israele, sconfitta l’alleanza dei paesi arabi occupa quasi tutta la Palestina e la Galilea: 700.000 arabi devono lasciare le loro case, altri 160.000 diventano cittadini israeliani.

Nasce il problema dei profughi Palestinesi.

Risoluzione ONU n.273 del 1949 ammissione di Israele all’ONU con cui Israele si impegna a rispettare le risoluzioni dell’Organizzazione delle Nazioni Unite.

Risoluzione paradossalmente disattesa e ignorata da Israele. Nessuna conseguenza per Israele.

palestinese con la bandiera

  [palestinese con la bandiera Autore: rawpixel.com, licenza CC0 1.0 ]

Nel maggio 1964 viene fondata l’OLP (Organizzazione della liberazione della Palestina) con l’intento di fondare uno Stato laico di Palestina ammettendo solo gli ebrei che vi risiedevano da sempre.

Il 5 giugno del 1967 scoppia la guerra dei 6 giorni. Israele sconfigge la Coalizione Araba e occupa tutta Gerusalemme, la Cisgiordania, il Sinai e la striscia di Gaza (fino a quel momento sotto il controllo egiziano).

Risoluzione ONU n. 242 del 22 novembre 1967 con cui l’ONU ingiunge a Israele di ritirarsi dai territori conquistati militarmente e adottare la linea di confini antecedenti la guerra del 1967.

Risoluzione disattesa e ignorata da Israele. Nessuna conseguenza per Israele.

Anzi, con l’appoggio statunitense (che pone il veto ad ogni risoluzione ONU) Israele continua con maggior forza la politica di occupazione, violenza e repressione dei territori palestinesi.

Il 3 febbraio 1969 Yasser Arafat viene eletto presidente dell’OLP.  

Risoluzione ONU n.338 del 1973 con cui l’ONU chiede nuovamente alle parti di applicare la risoluzione 242 del 1967.

Risoluzione disattesa e ignorata da Israele. Nessuna conseguenza per Israele.

Nel 1974 il consiglio nazionale Palestinese approva il programma dei 10 punti dove i palestinesi accettano l’idea di convivere pacificamente con gli Ebrei di Israele. Ma il programma non viene preso in considerazione.

Il 22 novembre 1974 l’assemblea generale dell’ONU ammette l’OLP con lo status di osservatore.

Accordi di Camp David del 17 settembre 1978 firmati alla Casa Bianca dal presidente egiziano Anwar al-Sadat e dal Primo Ministro israeliano Menachem Begin. Tra le principali decisioni prese rispetto alle fondamentali questioni mediorientali, quella palestinese viene definita centrale per la pace in Medio Oriente: tutti coloro che vivono nei territori occupati da Israele sulla riva occidentale del fiume Giordano e sulla striscia di Gaza devono godere dell’autonomia e ottenere un proprio governo.

Gli accordi non sono risolutivi. Alla Palestina non viene mai riconosciuta l’indipendenza nazionale.

Nel 1981 Sadat viene ucciso.

Dall’alba del 16 settembre fino al mattino del 18 settembre 1982 viene compiuto dalle Falangi libanesi e dall’Esercito del Libano del Sud, con la complicità dell’esercito israeliano, il massacro di civili innocenti nei campi-profughi palestinesi di Sabra e Shatila in Libano. Si conteranno tra i 1.700 e i 3.500 morti.

Nel 1987 i palestinesi dei territori occupati, insofferenti al rifiuto d’ascolto della loro causa, danno vita ad un’azione di rivolta chiamata Intifada (risveglio) con lancio di pietre contro l’esercito d’Israele. Israele risponde con una dura repressione.

Accordi di Oslo del 20 agosto del 1993 in cui l’OLP di Yasser Arafat e il primo ministro d’Israele Yitzhak Rabin sottoscrivono a Washington il diritto dei Palestinesi all’autogoverno della Striscia di Gaza e della Cisgiordania tramite la creazione di un’autorità Nazionale Palestinese sotto la guida di Arafat, al contempo l’OLP riconosce il diritto dello stato di Israele all’esistenza pacifica e sicura.

Il percorso si rivela complesso. Nel 1994 Rabin viene ucciso da un estremista ebraico.

Con la morte di Rabin e la sempre maggiore perdita di potere dell’OLP il processo di pace e di indipendenza è compromesso e viene sempre più inghiottito dal sopravvento di fazioni estremiste di entrambe le parti: Hamas per i palestinesi e Likud per gli israeliani (fazioni volte già da anni a fare perdere il controllo politico e la via della pace).

Nel 2000 l’ONU predispone (e non è la prima volta) l’invio di una commissione di inchiesta internazionale.

Israele ostacola la commissione (come precedentemente fatto ogni volta) emanando il divieto di indagare sul territorio.

Nessuna conseguenza per Israele.

Ulteriori 8 risoluzioni vengono votate nel 2000 dall’ONU (contrari solo USA e Israele) con la condanna di Israele per la sua politica nei territori palestinesi occupati.

Risoluzioni sempre disattese e ignorate da Israele. Nessuna conseguenza per Israele.

I palestinesi vengono arrestati senza processo, trattenuti illegalmente e torturati.

Carta dei territori sottratti ai palestinesi

[Territori sottratti da Israele da 1946 al 2000-da Flickr Autore: moreno lic. CC BY-NC-SA 2.0]

Negli anni Israele acuisce la spinta della popolazione palestinese all’interno della striscia di Gaza, sottraendo sempre più territorio ai palestinesi.

Nel 2005 sotto la pressione della comunità internazionale, il premier israeliano Sharon ritira le forze militari dalla striscia di Gaza. Ma le fazioni estremiste non hanno interrotto il loro lavoro contro la ripresa di un dialogo pacifico e nel 2006 il partito armato islamista Hamas vince le elezioni.

Israele ha così la giustificazione per imporre nel 2007 l’embargo dei cieli e del mare palestinesi e il controllo totale di persone e beni in entrata e in uscita. Questo embargo costituisce una violazione della quarta Convenzione di Ginevra, che ha lo scopo di proteggere i civili che si trovano in mano nemica o in territorio occupato.

Nessuna conseguenza per Israele.

Muro di Gaza

[Muro di gaza da Palestina Forum pace Autore: Montecruz Foto licenza CC BY-SA 3.0 DEED]

Nel 2021 le forze israeliane completano, in beffa al diritto internazionale, la costruzione di una barriera lunga 40 miglia intorno alla Striscia di Gaza (iniziata dopo la firma degli accordi di Oslo) chiamata il “muro intelligente” perché dotato di radar, telecamere, sensori sotterranei che rinchiude la popolazione all’interno della striscia e non consente le infiltrazioni di attentatori in territorio israeliano.

Il Muro di apartheid è stato condannato dalla Corte Internazionale di Giustizia ma non viene fatto abbattere.

Nessuna conseguenza per Israele.

Gaza è una striscia di 360 Km quadrati, una delle aree più densamente popolate al mondo, 4000 persone per chilometro quadrato, ossia più di due milioni di persone rinchiuse in un fazzoletto di terra che già da molto prima dell’assedio israeliano dell’8 ottobre vivono in regime di apartheid, sotto la soglia di povertà in assenza dei servizi essenziali, stretti nella morsa di continue violenze, soprusi e crimini di guerra, senza possibilità di fuga, la cui conseguenza è stato il crescere di una rabbia sociale dettata dalla disperazione di una popolazione le cui nuove generazioni hanno vissuto sempre in una situazione di “prigionia a cielo aperto”.

Nell’ininterrotto silenzio più assoluto della comunità internazionale.

Ecco dunque, infine, che si riesce ora a comprendere maggiormente quanto un’organizzazione militare armata come Hamas sia assolutamente funzionale a Israele e come Israele sia funzionale ad Hamas.

Israele che occupa e mantiene un embargo e un controllo militare asfissiante crea le condizioni per la sopravvivenza di Hamas che è l’unica realtà che può “difendere” militarmente i territori palestinesi da continui e decennali attacchi e bombardamenti sulla popolazione civile da parte di Israele (non ultimo a Jenin, nel nord della Cisgiordania dove a luglio l’esercito israeliano ha condotto una vera e propria operazione di guerra), è l’unica realtà, purtroppo, a creare welfare sostenendo le famiglie dei suoi seguaci (coi soldi provenienti da altri stati arabi).

A sua volta Israele ha bisogno di Hamas per dimostrare al mondo che esistono terroristi da sconfiggere ed eliminare giustificando così la continua violenta repressione.

Ma voler annientare Hamas nei vicoli stretti e labirintici di Gaza significa in realtà annientare il popolo palestinese che vive al suo interno.

Si chiama genocidio.

I civili rinchiusi nella Striscia di Gaza e sottoposti ad una escalation di violenza interminabile, sono persone disperate che hanno fame e che vogliono vivere, che vogliono giustizia, che hanno accumulato rabbia ed esasperazione.

Non sempre votati ad Hamas, perché Hamas negli ultimi 15 anni ha perso molto consenso tra la popolazione palestinese.

Né Hamas né l’Israele di Benjamin Netanyahu fanno il bene dei loro popoli, né vogliono realmente la pace che porterebbe alla costruzione di due Stati, perché entrambi vogliono una vittoria finale e totale.

La violenza verbale delle dichiarazioni del governo israeliano degli ultimi mesi -“La lotta contro il terrorismo andrà avanti fino a quando la minaccia sarà eliminata” – “Siamo in guerra. Il nemico pagherà un prezzo che non ha mai conosciuto” (primo ministro Netanyahu) – “Le operazioni militari antiterrorismo possono provocare centinaia e se necessario anche migliaia di morti” (ministro della sicurezza nazionale Itaman Ben Gvir) a cui seguono crimini di guerra, alimentano lo scontro facendo sprofondare il conflitto in un baratro senza fine.

Quindi non c’è speranza? No… o forse sì.

Si chiama Marwan Barghouti, vero, unico, carismatico leader palestinese, rinchiuso illegalmente da anni nelle prigioni israeliane. L’unico che potrebbe riunificare il popolo palestinese perché non è un leader religioso.

Nel panorama terribile odierno in cui Israele ha dichiarato di “togliere luce, cibo, benzina e acqua, di combattere contro degli animali umani e di agire di conseguenza”, preparandosi così al genocidio del popolo palestinese e alla sua sparizione finale nel silenzio più assoluto dei governi internazionali, Marwan Barghouti sarebbe forse l’unico che potrebbe costruire un ponte di tregua e rispondere non più a sporchi giochi stranieri ma ad interessi nazionali e di rispetto per entrambe le parti.

Anche in Israele ci sono componenti non sioniste che spingono verso questa risoluzione come il Fronte per la Pace e l’Uguaglianza.

Fermo restando l’assoluta condanna di tutte le forme di terrorismo, se fino ad oggi la comunità internazionale è stata colpevole e responsabile di aver appoggiato e concesso ad Israele l’edificazione di questa polveriera, se fosse realmente e onestamente rivolta ad interessi di pace nel Medio Oriente (non fosse altro per le conseguenze economiche che sarebbero pesantissime oltre al reale rischio di allargamento del conflitto), non dovrebbe esporre bandiere israeliane, dovrebbe, al contrario, far pressione per l’immediato cessare del fuoco che pone sotto assedio la popolazione palestinese della striscia di Gaza (assedio che ha bloccato gli aiuti umanitari, la corrente, il carburante, l’acqua, il cibo, le medicine), per la creazione immediata di corridoi umanitari a protezione della popolazione, per il rispetto dei diritti umani e l’affermazione dello Stato di diritto, per la scarcerazione di Marwan Barghouti e la creazione di uno Stato di Palestina (lo Stato di Israele esiste già).

Altrimenti in questa follia sanguinaria di crimini contro l’umanità, nessuno si senta assolto.