[di Ernesto Miramondi]
Tiziana Francesca Vaccaro
A me piace molto Tiziana Vaccaro!Mi piace il suo viso, i suoi movimenti, il suo modo di porsi. Mai spocchiosa. Un incontro con lei è come riscoprire la ragazza della porta accanto, una persona speciale che ti arriva al cuore per empatia e umanità.
Ma Tiziana Vaccaro è tanto di più.
E’ prima di tutto una donna che ha saldamente in mano il timone della propria vita e che dimostra che si può essere professionalmente capaci, senza rinunciare ad essere umani.
E’ una scrittrice, una vera attrice e non solo per gli studi di provenienza, lo è per l’impronta estremamente soggettiva che ha saputo dare alla sua professione.
Una professione che è sicuramente espressione artistica di un’ottima interprete ma anche un efficace strumento di analisi che mette a nudo le molte contradizioni insite nella nostra società.
Un mondo fluido dove i suoi personaggi, mai banali, vivono per intero la loro umanità senza sconti alle loro debolezze, alle frustrazioni, ai sogni conquistati e a quelli mancati e a tutti quegli aspetti che rendono così emozionante e stupendamente vivo un essere umano.
Tutto questo ha sicuramente dietro un grande studio sui personaggi ma anche una grande sensibilità che la porta a giungere al soggetto per “strati successivi” fino a diventarne parte.
E il processo narrativo lega il soggetto rappresentato al contesto in cui vive, lo pone come simbolo di un intero mondo. Ne descrive la realtà spesso chiusa e arroccata su se stessa, soffocante per i personaggi che la abitano, e che troppo spesso le rende vittime di una consuetudine cieca.
E’ in questo mondo che si muove e si esprime Rosa Balistreri in “Terra di Rosa”; Personaggio che evolve a poco a poco e a fatica si svincola da quel povero quartiere di Licata chiuso e povero che la vuole sconfitta e inerme.Rosa conquista una sua dimensione soffrendo e vivendo, diventando il personaggio pubblico forte che racconta la sua terra. La Sicilia.
Tiziana Vaccaro la incontra entrando nel suo mondo e riesce a caratterizzarla in modo mirabile attraverso la sua naturale fisicità, il suo corpo diventa uno straordinario mezzo descrittivo, testimone della vita e delle pulsioni di Rosa Balistreri e del mondo ostile che la circonda.
In un solo abbraccio da voce a tutte le Rosa Balistreri, figlie di una terra dove il pregiudizio trova molto spesso più credito della verità stessa.Stesso modo di procedere lo troviamo in “Sindrome Italia. O delle vite sospese”, è una coraggiosa e incredibile denuncia sulle condizioni di vita delle lavoranti straniere provenienti dai paesi dell’est e conosciute col nome generico di badanti.
Costrette per necessità a vivere lontane dai loro affetti, lontane dalle loro famiglie, dai figli, in una lingua che non è la loro, la condizione provata per anni è quella di una vita sospesa. D’attesa.
In un silenzio dell’anima profondo, che genera sgomento.
Cosa ne è delle famiglie lasciate al paese? Dei figli? Dei genitori? Saranno accettate al rientro? Cosa potrà mai portare il futuro?
La conseguenza di tutto ciò viene indicata come “Sindrome Italia”, un termine medico che sta a indicare un insieme di patologie invalidanti che colpiscono le lavoranti provenienti soprattutto dai paesi dell’est. L’aspetto che personalmente trovo tragicomico è quello di scoprire alla mia veneranda età quanto poco si conoscano le condizioni di vita dei lavoranti stranieri in Italia.E il rischio grande è che ci si possa sentire quasi dei filantropi, di “coloro che danno lavoro”, sussistenza. La verità profonda è che troppo spesso non abbiamo idea delle loro condizioni umane e con sorda ipocrisia, semplicemente li usiamo.
Attraverso un attento studio fatto di incontri, interviste e contatti, durato oltre un anno, Tiziana Vaccaro diventa Vasilica, una protagonista vera in un’interpretazione superba che ne narra le vicende, i sogni e le speranze sin dalla partenza dalla sua terra d’origine, la Romania.Ne narra il ritorno dopo dieci anni, i figli cresciuti e il paese d’origine divenuto estraneo. I periodi vissuti in Italia i suoi incontri, spesso nient’affatto umani, con le persone da lei assistite e Il suo incontenibile bisogno di attaccarsi a qualcosa che le desse ancora la voglia di vivere. d’amare.
“Sindrome Italia. O delle vite sospese” oltre che una straordinaria piece teatrale è divenuto anche un libro a fumetti, attraverso la scrittura a due mani, tra Tiziana Vaccaro e la brava illustratrice Elena Mistrello;“Sindrome Italia. Storia delle nostre badanti”, Edizioni Becco Giallo, Premio Boscarato 2021 di Treviso Comics Book Festival e di numerosi altri riconoscimenti.
Ed è di rappresentazione in rappresentazione, di riconoscimento in riconoscimento che cresce sempre più la nostra. Un passo alla volta ma ferma e decisa, mostrando la sua poliedricità senz’altro nel teatro ma anche nella scrittura e, non ultimo, nella cinematografia.
Ho sentito Tiziana Vaccaro per telefono qualche tempo fa, voleva essere un’intervista, è stata invece una piacevole chiacchierata di cui ne riporto una parte saliente.
E] Cara Tiziana Buongiorno. Stavo cercando il comune denominatore che lega tra loro i personaggi da te interpretati e mi sembra di aver individuato almeno tre elementi: Primo, Sono personaggi in chiave femminile, ovvero la visione della realtà che vivono è al femminile, secondo, mantengono il loro senso di dignità comunque, al di là degli eventi che le sommergono, terzo in fine, sono donne con “la valigia”, pronte a partire, andare incontro all’ignoto pur di mutare la loro condizione di vita e, se mi permetti, tu sei brava ad interpretarle perché sul palco si sente battere un cuore prima ancora dei testi scritti.
T] Ho capito che il mio teatro stava prendendo una certa direzione lavorando con il Teatro degli incontri che sicuramente ha influenzato il mio processo artistico grazie agli artisti che lo compongono, persone come il loro direttore artistico, Gigi Gherzi e il loro modo di creare, partendo proprio da temi civili e sociali, e con uno sviluppo non come creazione di una singola persona ma come composizione collettiva.In contemporanea ho avviato un percorso personale di studio e di ricerca orientata ad un teatro che operasse in ambito sociale, civile e di comunità, se così vogliamo chiamarlo.
Ho anche frequentato un Master a Torino come teatro sociale e di Comunità. Da lì si sono aperti nuovi canali di interesse e la conduzione di laboratori. Una grande esperienza, ho lavorato in ogni tipo di laboratorio, dal carcere di San Vittore ai laboratori nelle scuole, ai disabili.
Con il Teatro degli incontri sono stati organizzati laboratori con ragazzi stranieri di seconda generazione, con figli non accompagnati e con rifugiati politici.
Quindi il mio crescere professionale non è avvenuto lungo un percorso canonico che per altro non sentivo mio ma attraverso un procedere misto. Da un lato con i laboratori e dall’altro nella scrittura e nella ricerca di tematiche che potessero interessarmi. Queste le ragioni che mi hanno portato a Milano e a costruire il mio percorso e, probabilmente, nella scrittura mi sono lasciata contaminare dal femminile.
Cioè la vita di personaggi che al femminile guardano e al femminile parlano. E’ capitato inizialmente con Rosa Balistreri, nato all’interno del Teatro degli incontri. In una trasposizione della figura di Antigone ai giorni nostri. Ogni attrice ha pensato ad una figura dei giorni nostri che potesse rappresentare l’Antigone, un’eroina che si ribella e lotta contro il potere, ed io ho subito pensato a Rosa Balistreri.
Ne è nata una storia inizialmente breve, una breve performance che di seguito si è evoluta diventando uno spettacolo teatrale completo. Dopo terra di Rosa ho capito che la mia strada professionale poteva essere quella.
Quella di raccontare sì storie al femminile ma di protagoniste dalle vite non facili. Come il caso di Vasilica.
Quello che voglio raccontare è quel crescere e farcela restando comunque nell’anonimato. Eroine di ogni giorno, invisibili ai più ma con grandi storie di sofferenza e conquista alle spalle e che comunque vale la pena di conoscere e raccontare per il grande carico di forti emozioni e umanità che si portano dentro.
E] Infatti! posso dirti quanto da subito ho trovato interessante nei tuoi spettacoli teatrali la tua attenzione “a lato”. Ovvero non centrata su un personaggio centrale ma più sulla vita di personaggi secondari.
Hai saputo narrare e vivere le straordinarie avventure di esseri umani che non hanno il pregio di essere personaggio al centro di una sala ma quello di essere vivi e straordinariamente alla ricerca della loro identità.
Con Rosa Balestrieri, tutto sommato poi lei stessa è divenuta un simbolo riconosciuto.
Ma, più straordinario, in “Sindrome Italia. O delle vite sospese”, è la storia di Vasilica, un personaggio che se ti passa di fianco per strada non la vedi neppure.
Invece il suo vissuto di donna c’è, esiste, ed è estremamente vitale. E conoscendola entri in un mondo che prima ti era sconosciuto, scopri nuove realtà e cose inaspettate, come la patologia “sindrome Italia”.
T] Diciamo che Terra di Rosa nasce da una mia volontà personale. Quella, da siciliana, di voler raccontare la storia di Rosa Balistreri.Personaggio dalle mille domande; mi sono sempre chiesta da dove venisse quel suo carattere duro, la voce roca, e perché, seppur diventata quel personaggio famoso che racconta cantando della sua Sicilia, nella sua terra natale non è mai stata accettata e anzi, giudicata “A buttana do paisi”.
Mi sono chiesta, quale molla scatta, perché si vedono solo alcuni aspetti della realtà e non altri?
Nel raccontare la storia delle badanti vengono meglio in luce alcuni aspetti della cruda realtà e dei meccanismi che si mettono in moto. Il non voler vedere per pregiudizio, per egoismo o per semplice necessità.
Una necessità che diventa una feroce gestrice perché il bisogno di avere una badante, qualcuno che si occupi dei tuoi anziani, si porta dentro il vissuto delle famiglie e le grandi contraddizioni poco si sposano con la volontà di conoscere l’altro. Lo usi, punto.Capire questi meccanismi, scoprire e raccontare queste storie è la mia volontà di crescita professionale. Crescita che porta al saper bene raccontare che non necessariamente significa un grande apparato scenico con tante luci e quant’altro.
Deve essere piacevole ascoltare. Non deve annoiare. Perché i temi sociali sono importanti ma è oltremodo importante portare in scena buoni prodotti con un linguaggio bello e attraente. Il mio fine è quello di vedere lo spettatore uscire da un mio spettacolo ampiamente soddisfatto e con la consapevolezza di aver conosciuto una realtà di cui non era a conoscenza o a cui non badava più di tanto ma che d’ora in poi avrebbe posto l’attenzione.
E] Nelle tue parole rilevo diversi aspetti interessanti, spunto per un’ulteriore ricerca;
Mi viene da pensare che Il tuo progressivo affinare la forma rappresentativa per dar modo all’arte di esprimersi al meglio e nel bello, nel tuo specifico modo di procedere, significa affinare il linguaggio per meglio descrivere e informare.
Questo è di per sé il teatro.
Portare in scena una realtà vuol dire descrivere attraverso un linguaggio che è espressione di quella realtà. Intendiamoci, rappresentare non vuol dire necessariamente finzione. L’attore in scena, descrive e sente la realtà rappresentata. Fin qui tutto nella norma, nel tuo caso rilevo la necessità di fare anche della controinformazione.
Mostrare le realtà, spesso nell’ombra, alla scoperta di mondi inamovibile nel loro anonimato, che vivono vite spesso già definite alla nascita e ne rimangono vittime. L’averne dato notizia è di per se informare, contro-informare se quanto rappresentato è contrario alla morale corrente.
E il teatro, come fucina di linguaggio può essere un grande strumento per mostrare nuove realtà, nuove possibili soluzioni di vita e in questo, l’aver fatto corsi di teatro in carcere, può essere stato un mezzo per riscrivere le storie dei detenuti facendo loro vedere nuovi possibili scenari futuri. Anche questa è controinformazione e l’arte teatrale acquista l’indubbio ruolo di arte positiva.
T] Purtroppo ho avuto una sola esperienza di laboratori teatrali in carcere a San Vittore. Avrei voluto farne altre ma poi per altri impegni sono sopraggiunti e non è stato possibile.
Certamente, e lo do per scontato, l’incontro tra le persone e il teatro non è mai un atto sterile, nel senso che può arricchire e di molto. Può cambiare la vita e questo vale per tutte le comunità che lo incontrano, sia che siano detenuti o disabili o altro, senza distinzione alcuna.
Sicuramente in ambiti particolari, come potrebbero essere le carceri, l’effetto che potrebbe avere sui soggetti che fruiscono dei laboratori o degli spettacoli teatrali è di trasformazione.
Ed è quanto io faccio e in teoria è quanto dovrebbe fare un certo tipo di teatro sociale o di comunità, dar luogo a processi di elaborazione del linguaggio che portano ad un cambiamento, un vivere meglio, quello che viene definito con il termine empowerment.
Una persona, attraverso un’esperienza teatrale, usufruendone, entra in un modo e ne esce cambiata.
Poi volevo parlare anche di un’altra cosa proprio legata alla bellezza. L’importanza di presentare qualcosa che appare comunque bello, anche se ha temi difficili, feroci, se trattati in un certo modo, riescono ad essere comunque meglio accettati e, in seconda analisi, entrano più in profondità nelle coscienze.
Questa è una delle ragioni per cui è stata operata la scelta di descrivere la storia di Vasilica anche in un libro a fumetti. Ed infatti sono state molte le dimostrazioni di gradimento, pervenute a me e a Elena, la coautrice, soprattutto da persone giovani.Per la storia in se, per l’uso dei fumetti è per la bellezza intrinseca dei disegni stessi, la loro freschezza che permette di raccontare un dramma con leggerezza.
E devo dire che probabilmente non saremmo mai arrivate ad un pubblico giovane o a persone che vanno poco a teatro senza la pubblicazione del libro. E quindi questo dimostra la potenza dell’arte che permette di raccontare, far conoscere proprio attraverso l’uso di cose belle. Come le immagini disegnate da Elena o nelle piece teatrali in genere che poi sedimentano nella mente rimanendo e, magari, non ti fanno voltare da un’altra parte quando ti si presenta un problema analogo.
Ed è questo il ruolo che dovrebbe avere l’arte, andare a scardinare qualcosa dentro, avviare processi di cambiamento.
A] Nei tuoi spettacoli noto una grande fisicità, un modo forte per far arrivare l’emozione ma anche per fissare nella mente immagini, come se fossero fotografie. Questo sicuramente dal corpo ma anche per gli elementi impiegati; la terra, l’acqua.
T] La fisicità è per me una cosa fondamentale. Un po’ perché è espressione della mia terra, infatti difficilmente trovi un attrice, un attore siciliano che non fa un grande uso del corpo. A meno che non lo richieda il copione.Ma anche per scelta perché quanto accade sulla scena in primis lo attraverso io. Tutti gli aspetti emotivi che racconto li vivo in scena. E per conseguenza, attraverso il corpo, le mie emozioni arrivano agli spettatori.
L’uso degli elementi in scena ha provenienze diverse. In “terra di Rosa” banalmente è stata una trasposizione del titolo che poi ho visto funzionare bene.
Per “sindrome Italia. O delle vite sospese” il discorso è stato più complesso. Inizialmente l’acqua non c’era in scena, è arrivata in un periodo successivo con il fumetto. Prima c’erano dei mattoni, poi proprio nulla, ma sentivo che mancava qualcosa all’atto scenico, qualcosa che appartenesse alla mia poetica, un elemento da accostare che fosse da me sentito, l’acqua. I riscontri poi nei vari spettacoli hanno confermato che andava bene.
E] Vuoi raccontarci qualcosa, giusto due parole, sui laboratori?
T] I laboratori sono iniziati dal mio arrivo a Milano.
Da prima perché avevo necessità di lavorare, non conoscevo nessuno e sono diventati un primo mezzo di sostentamento.
Avevo visto che cercavano persone con titoli accademici e specifici per realizzare laboratori nelle scuole e cominciai a rispondere ai bandi che uscivano anche perché l’insegnamento, il tramandare, è sempre stata una cosa che mi ha appassionato ed è così che ne vinsi uno alla Comasina.
Una scuola piuttosto grande con molti stranieri. E’ stata un’esperienza grande e pazzesca con un lavoro pagato male, tanti i bambini da gestire, occorreva organizzare laboratori e arrivare alla recita finale.
Ma devo dire che è stata anche una grande palestra che mi ha addestrato a memorizzare nomi, capire i tipi di gruppo che andavano formandosi e gestire tutte quelle situazioni che di volta in volta andavano a crearsi.
Palestra che è continuata dentro al Teatro degli incontri. Inizialmente come attrice ma di seguito anche come conduttrice.
Di seguito i miei laboratori si sono evoluti, non più solo con bambini ma con ragazzi di seconda generazione, migranti e altro ancora e spesso direzionati su temi specifici.
Cioè partendo da un tema, a volte su mia proposta a volta commissionato, si procede nell’evoluzione dei laboratori.
Poniamo, a titolo d’esempio che venga commissionato il tema della legalità, Organizzo e avvio il laboratorio e a seconda di come va si decide poi se far nascere uno spettacolo oppure no.
L’aspetto interessante è che la parte laboratori, l’incontro con persone diverse e il mio crescere professionalmente sono un’unica commistione da cui, molto spesso trovo spunti per i miei lavori.
E] Grazie Tiziana del tuo tempo. E’ stato un piacere parlare con te.
T] Grazie a voi.Voglio completare questa pagina dedicata a Tiziana con una sua riflessione. L’ho trascritta da un suo post su un Social:
“Mi ritrovo a riscrivere per l’ennessima volta la sinossi del nostro film documentario sulla #cura (presto riveliamo il titolo definitivo!).
Da stamattina l’avrò riscritta almeno 4 volte. Sono alla quinta versione e mi sento dentro a un labirinto. E quindi penso a molte cose.
Quanto è difficile ritrovarsi nelle proprie creazioni? Raccapezzarsi dico, ma soprattutto evitare di far perdere gli altri?
Io lo so che in fondo non mi sono persa, eppure mi perdo ancora. Perché io e la Sala abbiamo creato qualcosa di complesso, che è bellissimo secondo noi, ma complesso. Quindi… come si fa a ritrovare la strada, ad arrivare a dire semplicemente (bene) quello che vuoi dire, dicendolo meravigliosamente (bene)?
Che proprio alla fine tu non puoi non dire che quello che ho detto era meraviglioso! […] Vedi? È difficile!
La Cura – quanto vale un corpo? Eh, quanto vale?”
A me piace molto Tiziana Vaccaro!
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