[A cura e prefazione di Emanuele Azzità]
Qual è la differenza fra dolore e sofferenza? La seconda è un contenitore latente e invisibile. Si nasconde nel silenzio, ma fa capolino dallo sguardo suscitando malintesi.Mentre il dolore appesantisce e schiaccia, la sofferenza è leggera e onirica. Sempre rappresentata nell’arte, non si può non pensare a Van Gogh, Munch e a tanti altri, ma nei quadri di Chagall aleggia sollevando i corpi.
Come a non pensare al pittore di Lëzna nel leggere il breve racconto che segue?
“Dio conta le lacrime delle donne” è scritto nel Talmud. Quanti sono gli uomini che si accorgono della sofferenza femminile?
In un racconto inedito di Rinaldo De Benedetti ( Cuneo 1903 – Milano 1996) il disagio della donna assume la dimensione del silenzio. Non importa di chi sia, a prescindere dalla natura o dai contesti, la sofferenza trova la sua motivazione in un rifiuto. Il respingimento di un’emozione che si traduce nella voglia di piangere. La voglia non è l’azione: nella sua solitudine la donna ritornerà da dove è venuta.
All’Ospedale – Un racconto di Didimo
Si è presentata all’ospedale una ragazza dagli occhi lucidi e cerchiati, dalle labbra tinte senz’arte.Accusa un forte dolore alla gamba: un’antica piaga le si è riaperta, dà materia e le indolenzisce tutta la parte. Può appena camminare, crede di avere la febbre.
Dà il nome e il cognome al medico di turno, ma alla domanda “Professione?” non risponde. Il medico la squadra con curiosità ed abbozza un sorrisino d’intelligenza: “Al numero 34!”
Una suora l’accompagna per ampie scale e corridoi, entrano in una grande stanza e da una doppia fila di letti cento occhi si affissano su di lei che segue zoppicando la suora dal passo uguale e silenzioso.
La ragazza si avvicina al letto assegnatole e si toglie il soprabito troppo ricco in paragone ai poveri indumenti che nasconde. Si spoglia in fretta e si mette sotto le coperte.
-Dio come si sta bene!
Respira a lungo e chiude gli occhi per assaporare con voluttà il tepore del luogo e ha la sensazione di riposare fra lenzuola pulite; sorride e ripete fra sé sovente: – Come si sta bene!
Il rumore della via si sente come molto lontano; appena si avverte lo scampanellare dei tram. Due malati in fondo alla stanza parlottano fra di loro e le voci sembrano un ronzio continuo.
Le suore camminano che quasi non si sentono quando vanno da un letto all’altro. Hanno mani bianche e visi puri che non rivelano l’età.
– Ora viene il dottore.
Il dottore è entrato seguito da un giovinotto, allievo interno dell’ospedale; si avvicina al numero 34, dà un’occhiata al cartellino appeso al letto:
“Vediamo” . Le tira giù le coperte.
“ E’ da molto tempo che l’è venuto questo? .. Beh!.. Vincenzi, mi dia i ferri; faccia attenzione che stasera questa medicazione la farà lei. Stia ferma lì, non abbia paura.. Va, che non t’ammazzo.., sta brava, è quasi finito.”
“ Vincenzi, la garza. Farà questa medicazione mattina e sera per tre giorni; poi spero di mandarti a casa; sei contenta?”.
I due hanno finito, se ne sono andati.
Le ore passano uguali e tranquille. Le hanno portato un po’ di pranzo. La suora è stata gentile con lei e le ha parlato del bambino Gesù.
Dopo il pranzo si è addormentata un po’ e si è risvegliata che il sole è entrato dalla grande finestra frontale, battendo sul pavimento.
La ragazza guarda il raggio spostarsi, salire il muro di fronte, dov’è dipinta una grande Madonna: si ricorda vagamente delle parole della suora.
“ Dovrebbe pregare un po’..”
Dev’essere appunto l’ora dell’Ave. Lei alla Madonna ha sempre voluto bene. Quando era bambina andava a cercare i fiori nei campi e li portava davanti all’immagine di lei vicino a un lumicino a olio. Allora c’era la mamma.
A quell’età si è stupidi, non si sa nulla, ma è bello essere così.
– Queste suore come sono tranquille! Potessi star qui con loro.. Già, non mi vorrebbero..
“Vediamo un po’!”
E’ il giovine assistente che è venuto per la medicazione serale. Egli è alle prime armi; timido, fa il burbero per darsi un contegno.
“ In fretta che ho molto da fare stasera”.
La ragazza lo guarda mentre lui la benda ed arrotola la garza.
– Ha dei begli occhi e dei bei capelli; come fa piano per non farmi male! E’ gentile. Adesso prende i ferri : “Ahi, Ahi!”
“Faccio male?”
“ Oh no! Un po’”.
– Adesso mette quella cosa che fa male. Uhm..! Il più è passato…Com’è attento! Non ha alzato gli occhi nemmeno una volta. Mi ha fatto meno male del dottore…Forse non osa alzare gli occhi. E’ carino!
Debbo dirgli grazie?.. “Grazie signorino”.
E la mano di lei con gesto familiare sfiora carezzevole la guancia del giovane.
“…Ah posto quelle mani, qui non siamo in un ..”.
Lei si ritrae prontamente e lui dà mano agli ultimi giri di bendaggio, già vergognoso delle parole che ha detto; più che mai confuso serra l’ultimo nodo e se ne va in fretta.
La ragazza , a mezzo seduta sul letto lo segue con gli occhi fin che lo vede sparire; poi si rannicchia tutta sotto le coperte perché questa volta ha proprio voglia di piangere.
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