[Recensione di Maria Elena e Maria Teresa Gori]
[Immagini tratte dal filmato on line della rappresentazione teatrale]
Orfeo ed Euridice, forse eutanasia?
Ideazione scenica di Cesar Brie
In prima assoluta al Festival Orizzonti di Chiusi, la coraggiosa rielaborazione del mito di Orfeo ed Euridice, realizzata dal maestro argentino Cesar Brie in collaborazione con Arti e Spettacolo de L’Aquila, esplora il sottile confine tra vita e morte e tra amore, dolore e distacco.
Con una lunga introduzione allo spettacolo, il Maestro spiega quello che ha dato origine alla sua riflessione sull’eutanasia ed al suo lavoro sul tema: le diverse versioni del mito – da Virgilio e Ovidio, al Poliziano, a Pavese fino al diverso approccio di Rilke, che il Maestro ritiene in assoluto il più suggestivo, e di Duffy – e lo scalpore suscitato dal caso di Eluana Englaro, moderna Euridice non ancora morta, ma nemmeno viva, non più in grado di manifestare la propria volontà.
Dalla relazione tra letteratura e fatti di cronaca nasce quindi l’idea di affrontare il problema condividendone i contenuti in un seminario residenziale di creazione di immagini. Attraverso la sapiente fusione dei testi letterari con quelli dei partecipanti, Cesar Brie realizza, con coraggio e rispettosa delicatezza, una ideazione scenica toccante e di grande impatto emotivo. Il maestro argentino sembra quasi sentire la supplica di tutte quelle nuove Euridice sospese da anni, come Eluana, nel limbo delle terapie intensive: le ragazze che partecipano al seminario prestano loro il proprio volto, il proprio corpo e la propria voce e ne raccontano la vita e i desideri con le sensazioni che si potrebbero provare nel sentirsi prigioniere di un involucro di carne martoriata. Altre donne in veste di infermiere, suore e badanti assistono le persone in coma passando dalla pietosa compassione iniziale a manifestazioni di insofferenza, mentre la traghettatrice di anime amaramente comica lamenta, con accento napoletano, il rischio di perdere il lavoro e la propria funzione.
Due ragazzi esprimono invece il timore e lo smarrimento di Orfeo che non vuole separarsi dall’amata, ma non riesce a restituirle quell’ alito di vita che potrebbe liberarla dalle macchine profanatrici che la trattengono.
Efficace il susseguirsi dei contrasti che sembrano quasi mettere a confronto la vita con la morte: la giovane freschezza delle attrici e la condizione di agonia che le loro parole lasciano percepire; il tubicino bianco che prima sembra una collana e poi, appoggiato alla bocca, evoca l’intubazione; il telo di plastica trasparente che, quando ricopre le giovani, sembra disegnare l’immobilità e l’irreversibilità del coma, mentre poi, scosso con violenza, simula, come battito d’ali, la vertigine del distacco improvviso e definitivo dell’anima che si libera del corpo.
Apprezzabile nelle interpretazioni la pacatezza, spesso rara, dei recitativi e della gestualità ed appropriata al tema trattato anche la scelta dei brani musicali. Tra questi l’Adagio di Vivaldi che ha contribuito a rendere ancora più toccante l’impatto emotivo della scena finale: il turbinio di foglie secche che si sprigiona dal movimento del telo richiama alla mente i versi di Quasimodo “si sta come d’autunno sugli alberi le foglie” e rammenta il ciclo naturale della vita, quasi a chiedere se non sia contro natura il voler modificare ad ogni costo la caducità delle foglie.
* Nota .”Strano… Anche quella sera, come la sera del Casanova di Lombardi c’era vento… E non so se le foglie secche del finale siano state volute o una fortunata combinazione… Una sorta di dono particolare da tutte le “Euridice” già passate… Dettaglio unico e commuovente di quell’unica rappresentazione e che suggerì la chiusa della recensione a me e mamma.” Un saluto caro Maria Elena.
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